Il tema della felicità in azienda è entrato a pieno diritto nelle strategie di gestione del personale. Tutto ciò è riconducibile a tre principali motivazioni:
- Una progressiva erosione del welfare pubblico da un lato e l'allungamento della vita professionale dall'altro hanno contribuito a rendere l'azienda un vero e proprio eco-sistema socioeconomico
- Un sempre più labile confine tra vita privata e vita lavorativa che ha portato le persone a passare circa un terzo della loro vita in ufficio
- Una sempre più lenta rotazione del personale: per attrarre giovani talenti è necessario garantirgli un lavoro che li renda felici
Sta di fatto che la felicità, da concetto filosofico, è diventata un tema sempre più attuale anche in ambito economico e gestionale; portando numerose ricerche ad evidenziare una correlazione diretta tra la felicità del lavoratore e il suo livello di produttività. Nei Paesi Scandinavi la cultura della felicità aziendale è così radicata che alcune aziende hanno istituito la figura del chief happiness officer, il direttore della felicità. In Italia invece molte imprese si sono impegnate su due fronti: definendo programmi di valorizzazione del personale, con percorsi di crescita personalizzati sulle aspirazioni del lavoratore e possibilità di formazione continua. Hanno poi dato inizio ad una progressiva ridefinizione degli spazi e dei tempi di lavoro, creando un ambiente più informale e polifunzionale che faccia sentire le persone a proprio agio e in grado di esprimersi al meglio. Dopo le prime sperimentazioni si è potuto stabilire che, se le persone sono felici, la produttività aumenta del 12%. I dipendenti "infelici", invece, possono diventare un costo per l'azienda. Secondo una ricerca americana, infatti, la presenza del 18% di lavoratori non motivati produce una perdita all'economia statunitense tra i 450 e i 500 miliardi di dollari l'anno. Il tema della felicità non è quindi la solita moda passeggera, ma un tema di fondamentale importanza per la produttività delle aziende.
